Da Elodie a Annalisa: il dilemma della sensualità come trampolino di successo

Nella scia della recente e dolorosa perdita di Giulia Cecchettin

«Money, it’s a gas!» si addentra nel complicato panorama della musica contemporanea, in cui la riflessione sulla rappresentazione delle donne si scontra con realtà spesso contraddittorie. Nonostante gli applausi alle manifestazioni di solidarietà e ai minuti di silenzio dedicati a Giulia, emergono interrogativi sulla coerenza dell’industria musicale in termini di femminismo.

Nel nostro percorso di autocoscienza, ci confrontiamo con la dicotomia tra i discorsi di denuncia del patriarcato e le pratiche quotidiane che spesso sembrano andare in direzione opposta. Se da un lato troviamo ampi reportage e manifestazioni di piazza contro femminicidi, dall’altro ci imbattiamo in pubblicità che, sotto la superficie dell’impegno sociale, trattano il corpo femminile come uno stereotipo o, peggio ancora, come un oggetto.

Focalizzandoci sul settore musicale

notiamo che la comunità si è mobilitata con fiocchi rossi e minuti di silenzio, dimostrando solidarietà per Giulia Cecchettin. Tuttavia, ci chiediamo quale modello di donna la musica mainstream contemporanea promuova. Nomi come Elodie, Annalisa, e Angelina Mango emergono, evidenziando un trend in cui la sensualità sembra essere diventata un attributo imprescindibile per l’artista femminile.

Mentre alcuni potrebbero richiamare gli anni Ottanta

citando artiste come Madonna e Samantha Fox, è essenziale notare che in quell’epoca coesistevano anche figure come Sinead O’Connor e Tracy Chapman, dimostrando una varietà di rappresentazioni femminili. Oggi, in Italia più che altrove, sembra che il successo per un’artista femminile sia spesso legato alla sessualizzazione del proprio corpo.

La sensualità è stata persino presentata come un atto femminista,

ma la questione è complessa. Mentre alcuni potrebbero condividere questa visione, ci sono coloro che ritengono che il femminismo dovrebbe ispirarsi a modelli più classici, come quelli di Simone de Beauvoir e Gloria Steinem. Nell’ambito musicale, nomi come Joni Mitchell e Carole King incarnano una visione della donna che pensa, scrive e comunica attraverso la sua arte.

La provocatoria domanda sorge:

siamo troppo bacchettoni nel suggerire che l’atto più trasgressivo nell’offerta musicale contemporanea sarebbe ritornare a un racconto della donna pensato e scritto da donne stesse, incentrato sui contenuti anziché sul corpo? Un’invito alla riflessione sulla reale trasgressione e sulla coerenza dell’industria musicale nell’era contemporanea.

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