Elena Congost contro il Comitato Paralimpico: battaglia legale per la medaglia di bronzo

Elena Congost, paratleta spagnola, avvia una causa legale contro il Comitato Paralimpico Internazionale per la squalifica che le ha negato la medaglia di bronzo, difendendo i valori dello sport.
Elena Congost contro il Comitato Paralimpico: battaglia legale per la medaglia di bronzo - Tendenzediviaggio.it - Foto generata con AI

Elena Congost, la paratleta spagnola, ha scelto di intraprendere una lotta legale contro il Comitato Paralimpico Internazionale per la squalifica che l’ha privata della medaglia di bronzo. Dopo mesi di attesa, l’atleta ha ufficializzato la sua denuncia, convinta che le fosse stata negata giustizia. Un gesto che non solo rappresenta una richiesta di risarcimento, ma anche la difesa di principi fondanti dello sport e della competizione.

La decisione di portare il comitato in tribunale

La decisione di Elena Congost di citare in giudizio il Comitato Paralimpico Internazionale è nata sulla scia della squalifica avvenuta dopo la maratona ai Giochi di Parigi 2024. Questa scelta rappresenta l’ultimo atto di una lunga battaglia avviata dall’atleta per tutelare i propri diritti e ottenere il riconoscimento per il traguardo raggiunto. Congost, appoggiata da uno studio legale e dalla sua guida visiva Mia Carol Bruguera, mira a ottenere un risarcimento per il danno subito.

La squalifica è stata ufficializzata dopo che Congost, nel corso della maratona, ha rilasciato la corda che la legava alla sua guida, a pochi metri dal traguardo, per soccorrerla. Questo gesto è stato interpretato come un’infrazione delle regole stabilite per la categoria T12, in cui gli atleti non vedenti devono mantenere il legame con il proprio accompagnatore per tutta la durata della gara. Tuttavia, Elena sottolinea che il suo comportamento era motivato da un impulso di solidarietà e protezione, non da un tentativo di barare.

Le motivazioni di elena: un appello alla giustizia sportiva

Elena Congost non si è limitata a una risposta legale, ma ha anche voluto sottolineare i valori più profondi su cui si fonda l’olimpismo. Nel suo comunicato, ha espresso chiaramente che quello che è accaduto durante la maratona non può essere definito una truffa. Al contrario, era un gesto di aiuto nei confronti della sua guida, che ha subito crampi e rischiava di cadere. Congost chiede al Tribunale di Parigi di riconoscere che le decisioni prese in modo rigidamente burocratico possono entrare in conflitto con i valori umani e solidali che dovrebbero governare lo sport.

La paratleta ha affermato: “La squalifica non solo mi ha privato di una medaglia, ma ha anche violato lo spirito di correttezza e fratellanza che dovrebbero prevalere negli eventi olimpici.” Secondo lei, decisioni come quella presa contro di lei non possono essere accettate, e la lotta per la giustizia coinvolge non solo la sua personale vendetta, ma una questione più ampia: come le regole sportive devono evolversi per riflettere i valori umani essenziali.

I fatti e le regole in discussione

Per comprendere pienamente la questione, è necessario rivisitare l’episodio decisivo della maratona. Durante la competizione dell’8 settembre, Elena si era classificata inizialmente al terzo posto, ma il momento cruciale è avvenuto a pochi passi dal traguardo. Nel momento in cui la sua guida ha mostrato segni di difficoltà fisica, Congost ha deciso di rilasciare la corda di collegamento.

Le regole stabiliscono che gli atleti e le loro guide devono mantenere il contatto per tutta la durata della prova. Per questa ragione, la classifica è stata modificata e la medaglia di bronzo revocata. Il Comitato Paralimpico spagnolo ha deciso di sostenere Elena, anche se il primo ricorso per la creazione di una medaglia ex equo è stato respinto dalla Federazione Internazionale di Atletica Paralimpica.

La situazione di Elena Congost solleva interrogativi importanti sulla rigidità delle norme e sul concetto stesso di giustizia sportiva. La richiesta di Elena non è solo quella di riavere ciò che le spetta, ma di stimolare una riflessione su come lo sport debba coniugare regole e umanità, specialmente in ambito paralimpico dove le sfide affrontate dagli atleti sono molteplici e complesse.


La battaglia legale di Elena Congost non si limita all’individuo, ma si estende a questioni più ampie riguardanti il futuro dell’inclusione e della comprensione nei confronti degli atleti con disabilità, ponendo le basi per un dibattito che potrebbe cambiare le regole del gioco.

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