Nel 2025, l’assistenza domiciliare integrata (Adi) per gli over 65 in Italia si appresta a vivere una trasformazione significativa. Le proiezioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) mirano a far crescere la percentuale di anziani assistiti a domicilio dal 4% attuale fino a un ambizioso 10% entro il 2026. Questo cambiamento rappresenta un passo fondamentale verso il concetto di “casa come primo luogo di cura”, un principio chiave per l’evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale.
Un report di Salutequità, presentato oggi a Roma durante un evento con esperti e stakeholder del settore, ha esaminato in dettaglio le criticità attuali e ha proposto soluzioni pratiche. Il documento evidenzia l’urgenza di superare l’attuale modello prestazionale, sottolineando che molte regioni hanno già raggiunto, e in alcuni casi superato, gli obiettivi fissati dal Pnrr. Per esempio, l’Umbria e la Provincia Autonoma di Trento hanno raddoppiato il numero di anziani assistiti, mentre altre come la Sicilia e la Campania mostrano risultati deludenti, con percentuali di assistenza molto basse.
Criticità e disparità regionali
Il report di Salutequità non si limita a celebrare i successi, ma mette in luce anche le criticità che affliggono il sistema. Nonostante l’aumento del numero di anziani assistiti, l’intensità delle cure rimane insufficiente in molte regioni. Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2022 sei regioni, tra cui Lombardia e Campania, non hanno raggiunto la soglia minima di assistenza. Inoltre, oltre il 50% delle cure domiciliari erogate in 14 regioni è di bassa intensità, con accessi sporadici e poco coordinati.
La situazione è ulteriormente complicata dalle disparità nelle ore di assistenza fornite. Un’analisi del Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità dell’Università di Tor Vergata ha mostrato una diminuzione media delle ore di assistenza, scese da 18 a circa 15,8 ore settimanali tra il 2018 e il 2023. In Calabria, ad esempio, si sono registrate oltre 56 ore di assistenza, mentre in Basilicata il numero è sceso a circa 38 ore. Queste differenze evidenziano l’inefficienza del sistema e la necessità di un intervento mirato.
La necessità di riforme strutturali
Salutequità ha lanciato un appello per una riforma strutturale del sistema di assistenza domiciliare. Secondo il presidente Tonino Aceti, è cruciale non solo aumentare il numero di pazienti assistiti, ma anche garantire una presa in carico adeguata per coloro che necessitano di cure più complesse e continuative. La carenza di personale specializzato, in particolare infermieri, rappresenta un ostacolo significativo. Attualmente, solo il 7,6% del fabbisogno di infermieri di famiglia e di comunità è coperto, con una carenza stimata di oltre 14.000 professionisti.
Inoltre, il report evidenzia che meno della metà delle ASL ha un assistente sociale in organico e solo il 53,2% ha assunto almeno un operatore sociosanitario. Queste lacune si riflettono negativamente sulla qualità dell’assistenza fornita, creando un sistema che non riesce a rispondere adeguatamente alle esigenze degli anziani.
Verso un futuro sostenibile
Per affrontare queste sfide, Salutequità sottolinea l’importanza di un monitoraggio centralizzato e di un intervento tempestivo per garantire l’attuazione uniforme delle politiche di accreditamento dell’Adi. È essenziale che le regioni accelerino il recepimento degli standard di qualità stabiliti dall’intesa Stato-Regioni del 2021, in particolare per quanto riguarda l’integrazione della telemedicina nell’assistenza domiciliare.
Aceti conclude avvertendo che l’Italia rischia di “fare bella figura con l’Europa e una pessima figura con i pazienti” se non si agisce in modo deciso. È necessario un incremento strutturale del Fondo Sanitario Nazionale, per garantire che le risorse temporanee del Pnrr non siano l’unica soluzione per evitare il collasso delle cure domiciliari. La sfida è grande, ma il potenziale per un cambiamento positivo è altrettanto significativo.